venerdì 28 aprile 2017

Un decreto appalti contro l'ambiente e l'informazione

Il rischio che ha riguardato l’Anac di Cantone è scongiurato. Meno rumore hanno fatto alcune modifiche appena approvate al Codice Appalti, che hanno riaperto le porte, seppure in una forma limitata, a subappalti, massimi ribassi e appalti integrati.
In questi ambiti l’appetito vien mangiando e il rischio è che possa saltare ogni argine. Ma il pericolo maggiore per una trasparente e efficace gestione delle opere pubbliche nel nostro Paese viene dalle modifiche alla Valutazione di Impatto Ambientale previste in un Decreto legislativo approvato dal governo.
Intanto perché i tempi sono strettissimi, entro la prossima settimana sono previsti i pareri delle commissioni parlamentari e delle Regioni, e poi il testo potrà diventare legge. Ma sono soprattutto i contenuti di un testo a destare preoccupazione, perché mandano in soffitta quanto in questi anni si è ottenuto, attraverso battaglie e direttive europee, in materia di trasparenza delle procedure, valutazioni ambientali e informazione dei cittadini.
Qualche esempio?
Il Decreto prevede che la valutazione ambientale sia fatta su un progetto di fattibilità, ossia su un livello ancora preliminare e incompleto di approfondimento. Ad analizzare il progetto sarebbe poi una commissione selezionata dal Ministro dell’Ambiente «senza obbligo di procedura concorsuale». Leggere una frase del genere in un testo di legge mette i brividi, anche perché si tratta di scegliere persone competenti e indipendenti che garantiscano l’interesse generale alla tutela dell’ambiente. A giustificare questa scelta sono i problemi incontrati nell’operare la selezione dei commissari in questi anni da parte del Ministero, con ricorsi e ritardi. Che è come voler dire: aboliamo le gare di appalto perché c’è la possibilità che qualcuno possa ricorrere al Tar. Ma se è evidente che questa proposta verrà presto modificata, prima che intervenga l’Anac o un tribunale europeo, più preoccupanti sono altri due aspetti della proposta.
Il primo riguarda i contenuti ambientali dei progetti, perché vengono cancellati i riferimenti normativi che fino ad oggi hanno guidato analisi e valutazioni senza che siano in alcun modo sostituiti. Sono poi a rischio il diritto all’informazione dei cittadini e alla partecipazione perché viene infatti cancellata l’unica possibilità che fino ad oggi si aveva di essere informati sull’inizio di un iter di Valutazione ambientale, ossia l’obbligo di pubblicarlo sui quotidiani.
C’è poi un passaggio dove davvero si percepisce la mano di Confindustria, unico soggetto coinvolto nella fase di redazione del testo. Il Decreto prevede infatti un ruolo centrale del proponente l’opera, tanto che l’Eni o la Società autostrade – per fare degli esempi – potranno in «qualunque momento» richiedere un confronto con l’Autorità competente e addirittura rispondere alle osservazioni dei cittadini, sostituendosi al Ministero, attraverso delle controdeduzioni. L’effetto sarebbe uno stravolgimento di una valutazione che dovrebbe servire a capire gli impatti ambientali e i costi di un opera, nell’interesse generale, e non a spingerne la realizzazione. E’ davvero grave che un testo con contenuti di questa portata sia costretto a una discussione pubblica e politica così limitata nei tempi e nelle forme. Anche perché modifica profondamente le innovazioni portate al Codice degli Appalti dal ministro Delrio, dopo gli scandali e gli arresti per la gestione dei cantieri delle grandi opere. Dai cantieri dell’Alta velocità tra Milano e Genova a quelli della Variante di Valico il problema è stato sempre lo stesso. Una volta aperti i cantieri si scoprivano amianto, gas o falde idriche che i progetti preliminari non avevano individuato. Per la gioia di chi gestiva i cantieri che poteva operare varianti, aumentare i costi e gestire senza limiti o controlli i subappalti. Nel Codice veniva posto un argine a questa deriva con affidamenti dei cantieri esclusivamente sulla base di progetti definitivi, limitazioni per i subappalti ma anche l’introduzione del dibattito pubblico sulle opere, proprio con l’obiettivo di informare i cittadini dall’inizio e puntare al coinvolgimento dei cittadini. Quelle scelte, approvate solo pochi mesi fa, sono oggi a rischio ed è per queste ragioni che un ampio cartello di associazioni ambientaliste chiedono a parlamento e governo di cambiare strada.

Edoardo Zanchini (vicepresidente Legambiente), il manifesto, venerdì 28 aprile

4 commenti:

  1. Ma Gentiloni non è stato anche direttore di Nuova Ecologia? Dove è finito il suo ambientalismo?
    Zorro

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  2. Il governo e i partiti continuano ad operare contro l'interesse dell'ambiente, dell'informazione e dei cittadini.
    Su diversi terreni.
    Sono noti da tempo i livelli tossici mortali delle polveri nell'aria.
    La Comunità Europea ci ha richiamato e saremo multati.
    Ma Berlusconi, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni non hanno fatto e non fanno nulla. Salvo nuove strade ed autostrade per sostenere gli interessi delle grandi industrie automobilistiche di Agnelli, Marchionne e soliti noti ...
    Non è la VIA giusta!
    Proviamo a cambiarla insieme
    *****

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  3. Raramente la Via ha imposto alle autorità un cambio di opere. Quasi sempre è intervenuta per mitigare l'impatto a progetto deciso.
    Una funzione di supporto e marginale.
    Ma evidentemente anche questo da fastidio ...
    BiBi

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  4. Stop al Cemento. Anche in Emilia Romagna.
    Molti esempi di urbanizzazione “dimenticati” dalla nuova legge regionale.
    Serve un impegno dal basso per leggi che tutelino veramente la campagna.
    Troppe le aree verdi nella nostra regione che corrono il rischio di essere coperte dal cemento, nonostante la crisi.
    Questa la fotografia del Dossier pubblicato oggi da Legambiente Emilia Romagna. Un documento che raccoglie molti casi emblematici, che vedono terreni vergini in procinto di essere urbanizzati o sotto minaccia di esserlo in breve tempo.
    Infrastrutture per la mobilità, insediamenti terziari, ampliamento di imprese esistenti e, soprattutto, molti centri commerciali: sono queste le tipologie tipiche del consumo di suolo di questi anni.
    Casistiche che in buona parte non rientrerebbero nei limiti posti alle nuove urbanizzazioni dalla proposta di legge urbanistica “Bonaccini”: una carenza normativa che il Dossier intende espressamente sottolineare.
    Si va dal polo logistico di Piacenza che occuperebbe 1 milione di mq di suolo agricolo, ai progetti autostradali e al potenziamento dell'Aeroporto di Parma, passando per i grandi centri commerciali - presenti praticamente ovunque – per finire con le strutture turistiche che si vorrebbe realizzare in pieno Parco del Delta del Po.
    A questi interventi tematici si sommano le tante aree residenziali pianificate dai Comuni in aree agricole di pregio che potrebbero essere realizzate nei prossimi 5-6 anni.
    Non mancano poi interventi che scambiano cemento per nuovo cemento: allo scopo di realizzare complessi di utilità pubblica (è il caso di Fiorano Modenese) o interventi privata (è il caso della ristrutturazione dello Stadio Dall'Ara di Bologna, che si sosterrebbe con la "valorizzazione" di aree vicine). Oppure con le numerose opere di “compensazione” alle nuove autostrade, costituite quasi sempre da altre strade di servizio.
    Dopo l'ubriacatura immobiliare dei decenni pre-crisi, quindi, i tassi di consumo di suolo sono sì calati, ma non sono cambiate le logiche di fondo: lo dimostra il fatto che i Comuni continuano a facilitare qualsiasi nuovo progetto e a variare le destinazioni d’uso di aree, a seconda dei progetti che arrivano sul tavolo.
    “Purtroppo la proposta di legge non sembra tener conto di questo fatto, non ponendo limiti a buona parte degli interventi edilizi che oggi risultano essere attuali. Inoltre la legge garantisce ai Comuni un periodo compreso tra 5 e 6 anni per trasformare il proprio territorio senza particolari restrizioni. Una possibilità che, si vede bene nel Dossier, buona parte dei Comuni e dei gruppi economici interessati dalla rendita fondiaria intendono sfruttare ampiamente”.
    Tra il 1975 ad oggi il territorio urbanizzato della regione è più che raddoppiato, con oltre 100.000 ettari di campagna “consumata” e una perdita di produzione agroalimentare sufficiente a sfamare oltre 2 milioni di persone. Il territorio vergine è un bene ormai in via di esaurimento e ogni ulteriore consumo di suolo costituisce quindi una sottrazione al benessere delle generazioni che verranno, indipendentemente dalla velocità con cui avviene.
    Legambiente sollecita quindi la consapevolezza e l'impegno di tutti i cittadini per chiedere alle amministrazioni, dal livello comunale a quello europeo, di fermare l'emorragia di consumo di suolo ...
    ... stiamo lavorando per la mobilitazione tutti i cittadini della nostra regione, sia attraverso azioni di contrasto alla bozza di nuova legge urbanistica regionale, sia attraverso la firma della petizione “Salva il suolo”, per chiedere una direttiva europea che ponga un freno allo sfruttamento del territorio.”
    A questo link il Dossier integrale contenente la descrizione delle principali aree minacciate dal cemento in Emilia-Romagna.
    A questo link la mappa interattiva con le principali aree minacciate dal cemento in regione.
    LER

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