sabato 12 novembre 2016

La lezione Trump

La vittoria di Donald Trump deve farci riflettere.
Tutti.
Per rispondere al cambio politico e sociale a cui certamente assisteremo.
Per fronteggiare nuovi problemi, seri e preoccupanti. E chissà, forse, per cogliere anche opportunità.
1. Troppo stupore e sorpresa in questi giorni.
In tanti vivono un mondo virtuale, partecipi di una narrazione che non considera e non si confronta con la dura realtà e con le contraddizioni quotidiane. Altri fingono spudoratamente, perché hanno interesse a farlo.
Eppure, da tempo, acuti intellettuali (a partire da Michael Moore), giovanissimi italiani (come Marco DE) ed italo-americani (come Angela M. o Viola A.) invitavano a non sottovalutare il ricco imprenditore newyorchese. Altrettanto alcuni sondaggi, che dicevano che nel popolo americano Bernie Sanders sarebbe stato più competitivo nei confronti del tycoon rispetto ad Hillary Clinton.
Sono stati tutti liquidati con irresponsabile superficialità.
Soprattutto da chi aveva ruoli importanti.
Ma, a ben pensare, le loro ragioni avevano radici lontane e troppo presto rimosse o accantonate.
Già nel 2008 in America aveva sorprendentemente ed inaspettatamente vinto le primarie democratiche e poi le elezioni di novembre Barak Obama. Un giovane e brillante afroamericano, estraneo all'establishment politico e di potere della più grande potenza mondiale in profonda crisi.
Il suo approccio radicale e liberal (pacifista, ambientalista, molto attento al sociale) aveva affascinato ed alimentato una grande speranza di riscatto e di cambiamento. Negli Stati Uniti e nel mondo, mobilitando milioni di persone di diverse generazioni, etnie, religioni; di classi sociali popolari e di intellettuali, in cerca di una prospettiva ecosostenibile.
Così aveva sconfitto, prima, gli storici e potenti dirigenti del Partito Democratico (che volevano Hillary Clinton) e, poi, quelli Repubblicani. Due volte in quattro anni. Perché, nonostante, i modesti e deludenti progetti di innovazione concretamente realizzati nel primo mandato, Obama ha prevalso anche nel 2012.
Purtroppo al momento della scelta dei nuovi candidati alla Presidenza degli USA ciò che si è sperimentato non è stato di lezione per tutti.
I notabili e la struttura del Partito Democratico hanno insistito nel riproporre Hillary Clinton (entrata alla Casa Bianca 24 anni fa!) contro Sanders, il 70enne social-comunista, da sempre impegnato sul fronte della giustizia sociale, molto amato e stimato da giovani e lavoratori. Al fine, sconfitto di misura alle primarie democratiche.
Al contrario, a destra l'incontenibile, rozzo, volgare, irriverente, "populista" e ricchissimo Trump elimina nelle primarie repubblicane, uno ad uno, tutti gli uomini del partito e si impone come personaggio anti sistema (paradosso pazzesco, considerando la sua storia familiare), raccogliendo consensi tradizionali e assolutamente inusuali per la sua parte politica. Insieme imprenditori e operai colpiti dalla globalizzazione senza regole, ceti medi e popolari impoveriti ed indifesi dal potere economico - finanziario e dai tradizionali partiti, settori del popolo bianco impauriti dalla concorrenza dei migranti e in cerca di rivincite.
Si può dire, ora, che di fronte a questi elementi in troppi, Democratici e no, hanno riflettuto poco e male, comunque non abbastanza e non adeguatamente.

2. La vittoria di Trump evidenzia problemi e contraddizioni.
Lungi dal non volere prendere atto di un risultato politico chiaro quanto socialmente motivato, è bene soffermarsi su un'altra grande ed irrisolta questione: la Democrazia.
Perché in America, in Occidente ed anche in Italia, qualcuno sostiene ancora che dovrebbe essere "esportata" in paesi "arretrati" o in via di sviluppo; mentre, altri, vorrebbero modificare Costituzioni vigenti, sperimentate, ma inapplicate o disattese dalle classi dirigenti e dominanti.
L'imprenditore newyorchese ha raccolto complessivamente quasi 60 milioni di voti tra i 320 milioni di americani. Per la precisione 59.791.135. Davvero tanti (soprattutto se pensiamo al personaggio). Comunque, meno di quelli conquistati precedentemente dai repubblicani sconfitti da Obama: Mc Cain, nel 2008, e Romney, nel 2012. Loro persero rispettivamente con 59.948.323 e con 60.933.504 di consensi.
Dunque, il successo del neo Presidente c'è, innegabile; ma non è avvenuto in espansione.
Piuttosto, è dovuto al particolare sistema costituzionale, federale ed elettorale degli Stati Uniti d'America, che nessuno (o quasi) ha contestato e discusso.
Un sistema fondato su una elezione indiretta. Cioè, il candidato che vince in un singolo Stato (Florida, Texas o California) conquista tutti i grandi elettori che successivamente, insieme a quelli designati negli altri 52, eleggono il Presidente.
Perché è bene sottolineare che la candidata democratica martedì scorso ha avuto complessivamente più consensi del rivale: 60.071.781 voti.
Cioè, Hillary, pure crollando rispetto ai risultati ottenuti da Barak (oltre 69 milioni nel 2008 ed ancora quasi 66 milioni nel 2012) ha raccolto 280.646 voti in più di Donald.
Questa è la Democrazia "made in USA": il sistema istituzionale federale non contempla "una testa un voto".
Di più. Ora, il Trump, risultato minoritario nei consensi, conta sulla maggioranza assoluta dei Repubblicani, tanto alla Camera quanto al Senato. E nominerà presto un giudice alla Corte Suprema, con il quale controllerà anche quella.
Legittimamente, s'intende.
Ciò di cui Obama, però, non ha mai goduto. In 8 anni di Amministrazione. E pure raccogliendo molti più consensi popolari di Trump.
Una evidente (clamorosa) contraddizione. Sopportabile socialmente e politicamente?
Lo verificheremo presto.
E' bene, tuttavia, considerare e discutere tutti questi dati. E riflettere, in ogni paese del mondo in piena autonomia e libertà, sulle scelte migliori per relazionarci, per rappresentare e per governare al meglio i popoli e le comunità.
Una premessa pare comunque emergere; nessuno può continuare a vantare sistemi democratici e modelli istituzionali da imporre.
Soprattutto quando i fatti e le esperienze mostrano punti deboli tutt'altro che insignificanti.
Né è buona e saggia cosa dividere, sempre e solo, i popoli o i cittadini in "vincenti" e "sconfitti".

3. Come fronteggiare Trump e la fase nuova.
Il cambio è avviato. E conferma che nessun cambiamento è neutro ed auspicabile in quanto tale.
C'è sempre chi ne usufruisce e ci guadagna. Come, sempre, c'è chi subisce e paga i conti.
Allo stato, le preoccupazioni e gli interrogativi per la vittoria di Trump prevalgono.
Per l'evoluzione della situazione negli Stati Uniti.
In particolare in riferimento alle questioni sociali e civili.
Le promesse fatte dal neo Presidente in campagna elettorale su sicurezza, sanità, armi, immigrazione ed aborto sono inquietanti e preoccupanti. Per il rispetto e la salute delle donne; per la sicurezza, l'assistenza ed i diritti dei cittadini; per la convivenza delle diverse comunità e per la valorizzazione di società multietniche. E già non mancano i segnali di forti tensioni sociali. Quanto cresceranno ancora?
Non meno rilevanti saranno gli effetti del cambiamento alla Casa Bianca nel mondo, dove già imperversano guerre, conflitti, controversie.
Trump ha insistito, anche nel discorso della vittoria, sulla volontà di perseguire "una grande America", impegnata a "raddoppiare il suo sviluppo: con la costruzione di infrastrutture, strade ed aeroporti", con "più dazi e meno tasse", "secondi a nessuno".
E' la conferma della sua estraneità ed avversione verso gli impegni presi dalla Amministrazione Obama a COP21: per la compatibilità ecologica nello sviluppo del pianeta; per affrontare insieme le questioni ambientali e sociali, i grandi problemi della economia e della promozione civile.
Nei mesi scorsi da parte del candidato vincente e dei suoi sostenitori non sono mancati proclami incendiari contro ISIS ed altri protagonisti dei conflitti in corso.
Questioni da non sottovalutare per l'uomo che detiene il più grande arsenale nucleare ed è il "Comandante Supremo" della prima potenza militare.
Su altri versanti, invece, le tesi di Trump possono risultare anche interessanti: dal rifiuto a trattati economici internazionali come il TTIP (che tutelano i grandi gruppi multinazionali a scapito dei diritti dei cittadini e della sovranità degli Stati) al disimpegno verso le vecchie Alleanze Militari (come la NATO). Potrebbero aprire la strada a sbocchi opposti: politiche isolazioniste, protezioniste, di progressive guerre economiche,  oppure (al contrario) risposte nuove, creative e coraggiose di distensione, di disarmo, di conversione pacifica dello sviluppo, di cooperazione e solidarietà, di investimenti per ridurre la fame, la povertà e lo sfruttamento delle risorse naturali.

Quel che è certo è che la lezione Trump ribadisce la necessità di confronto e di partecipazione, di progetti e di organizzazione.
Ancora una volta non bastano applausi o denunce, favorevoli o contrari, spettatori o elettori passivi.


17 commenti:

  1. Pensavo al declino dell'Europa.
    Dopo il Brasile e le elezioni Americane debbo ricredermi ...
    Franca

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    1. Perché?
      A volte le cose procedono insieme.
      Ovvero, quando pensi di avere toccato il fondo, attento. Qualcuno continua a scavare ...
      Gianni

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  2. Mi pare che gli americani abbiano votato pro o contro Trump, pro o contro Hillary.
    Così il 4 dicembre gli italiani voteranno pro o contro Renzi, pro o contro Grillo e Salvini, dAlema e deMita.
    E in primavera in Francia si voterà pro o contro Hollande, più probabilmente pro o contro lePen.
    Per me la lezione è che così non si governa nulla. Né l'America né l'Italia, né la Francia né l'Europa.
    BiBi

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    1. Da tempo viviamo un eccesso di personalizzazione.
      Purtroppo la crisi ed i problemi sono strutturali, di sistema.
      Le ingiustizie, le contraddizioni e l'irrazionalità attuali si combattono cambiando le abitudini ed i rapporti sociali, non solo le persone.
      Altrimenti capita di sostituire Bush padre con Bush figlio, Bill Clinton con Hillary o, peggio, Obama con Trump ...
      Più vicino Andreotti con Forlani, Craxi con Berlusconi, D'Alema con Veltroni, Bersani e Letta con Renzi e Renzi.
      Mentre i grandi gruppi economici e bancari continuano nei loro affari ad accumulare profitti, le mafie si radicano nei territori, la corruzione si diffonde ... E i giovani restano disoccupati come i lavoratori sempre più precari e "dipendenti".
      No, non Basta un si.
      Gianni

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  3. Il fatto a mio parere più sconvolgente è l'avversione degli elettori ai poteri forti. Dopo la lunghissima campagna elettorale contro la Brexit, con minacce di vario genere ai cittadini inglesi, con i capi di stato che hanno appoggiato tutti la causa UE e con l'ombra del disastro economico i cittadini hanno comunque scelto di lasciare l'Unione.
    Negli USA invece, si presenta un candidato politically incorrect che secondo i sondaggi non avrebbe dovuto nemmeno vincere le primarie repubblicane ma le vince. Durante la campagna elettorale attacca tutti: "Obama non è americano, Bill Clinton più grande molestatore d'America, via gli islamici, via i clandestini", si beffa delle donne, si burla di un reporter disabile, propone un muro col Messico e nonostante ciò vince. Aveva tutti contro: dall' establishment del partito repubblicano ai divi di Hollywood, a Wall Street (Warren Buffet ha finanziato con svariati milioni la campagna di Hilary). Come se non bastasse anche la stampa gli era avversa, tramite commenti palesemente faziosi nei giorni post-dibattiti, con articoli derisori e sondaggi palesemente errati. Persino i capi di stato stranieri si sono esposti contro di lui ma questo non gli ha impedito di prevalere. Non è che i cittadini dei paesi avanzati si sono stufati delle minacce dei poteri forti e di questi patetici ultimatum volti semplicemente a difendere uno status quo?
    MDE

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    1. Forse è così. Si "sono stufati delle minacce" e dei ricatti. Speriamo.
      L'importante è comunque che indignazione e ribellione si indirizzino nelle giuste direzioni. Per cambiare le cause profonde delle contraddizioni e delle ingiustizie. Per combattere (e mettere fuori gioco) i veri responsabili politici, sociali e culturali.
      Quel sistema di potere che spesso è sollecito e disponibile a sostituire gli uomini (i partiti, a volte le Costituzioni) ma risoluto ed ostinato a conservare le politiche e le ideologie.
      Gianni

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  4. Seguendo la traccia.
    1. Certo sorpresa. Perché comunque Trump è un uomo del sistema, con grattacieli, industrie e casa piena di ori (compresi i rubinetti del lavandino). Che lo votino operai e ceti poveri non è una grande contraddizione? Io per primo non volevo crederci.
    2. In effetti molto del successo di Trump è dovuto al sistema elettorale. Che in SU prescinde dal candidato che ottiene più voti. Qui sono entrato un po' in crisi anch'io. Perché a lungo ho pensato che un cambiamento di segno maggioritario era preferibile. E pure una stabilità di governo, premiata da una correzione dei consensi realmente ricevuti dalla maggiore coalizione. Ora però non vorrei ci esponessimo a brutte esperienze ...
    3. Non mi convince l'asse tra Trump e Putin. Una nuova Yalta sulla testa di molti? Potrebbe però anche essere un incentivo per l'Unione Europea. Da soli siamo irrilevanti, meglio aggiungere alla moneta le politiche necessarie.
    Antonio

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    1. 1. Che operai e ceti medi impoveriti votino il miliardario Trump è certo una contraddizione. Per superare la quale non aiuta certo candidare Hillary o un Clinton. C'è un interessante scritto di Barnie Sanders su la Repubblica di domenica.
      2. In effetti, a volte, si cambiano le Istituzioni per non cambiare le società e i sistemi economici. A volte.
      3. Meglio tardi che mai. Un anno e mezzo fa, quando all'ordine del giorno in Europa era la vicenda Grecia, Renzi e l'Italia (non solo loro s'intende) hanno perso una occasione storica irripetibile per cambiare il corso delle cose. Ora forse è tardi. Forse. Ma soprattutto occorre muoversi con progetti chiari, con determinazione e con coerenza. Ma è così per Renzi e per questo Governo?
      Gianni

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  5. Qui, in occidente, corriamo molto. Tutti. Per vivere e nella illusione di vivere meglio. Noi. Ma soprattuto Mattia, Alice, Riccardo ... i nostri figli.
    Poi scopriamo che non sarà così. Già noi siamo messi peggio dei nostri padri.
    La velocità non è sempre buona consigliera.
    Eppure ci si chiede sempre di correre più velocemente.
    Sul lavoro e nella società ...
    Oppure di delegare. Ma chi? In passato si dava un voto abbastanza legato alla classe sociale di appartenenza (lavoratori alla sinistra, imprenditori a destra, ceti medi al centro). E gli eletti non cambiavano partito. Ma ora?
    Così operai e scontenti della globalizzazione votano anche un ricco e rozzo padrone che attacca politici, banchieri e stranieri.
    Temo non sia finita ...
    MARA

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    1. Speriamo "non sia finita".
      O meglio, che raggiunto questo livello, molti continuino a scavare ...
      Gianni

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  6. La signora Clinton che giustifica la sconfitta con l'inchiesta dell'FBI si commenta da sola.
    Tuttavia non vedo la possibilità per un anziano social-comunista come Sanders di salire alla Casa Bianca.
    Mi pare che i Democratici americani siano al tramonto.
    Ma questi sono pareri in libertà.
    Meglio pensare a noi.
    Noi Italia e noi Europa. Non siamo messi molto meglio.
    m.m.

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    1. Vero. Mi ripeto. Pensare globalmente ed agire localmente.
      Ma le crisi aprono anche contraddizioni ed opportunità ...
      Gianni

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  7. Con una democrazia in cui vince chi prende meno voti non si esercita molto fascino.
    Con un Presidente come Trump ancora meno.
    Forse siamo davvero ad una svolta.
    Purtroppo l'Europa è a pezzi.
    L'Inghilterra ha scelto la Brexit.
    La Francia avra un governo di destra.
    In Spagna i Socialisti si astengono per consentire un governo di Destra.
    In Germania Socialdemocratici e Democristiani provano a difendere Merkel e supremazia.
    Renzi finge di alzare la voce quando i buoi sono scappati.
    A trarne vantaggio saranno altri.
    Prepariamoci.
    Carlo

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    1. Prepariamoci.
      Considerando anche che in Cina, in Russia, in Turchia, in Siria, in Afganistan, ... nel Brasile, in Venezuela, in Cile ...
      Nella globalizzazione, il provincialismo non paga.
      Solo la conoscenza e lo studio consentono di trasformare.
      Gianni

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  8. Il programma di Trump prevede un aumento delle emissioni nocive in atmosfera fino al 18%.
    Se confermati gli effetti potrebbero essere devastanti.
    Con conseguenze rilevantissime per tutti.
    Ecco la prima grande sfida.
    Raffa

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    1. In queste ore, in questi giorni ne discutono a Marrakech.
      In occasione di COP22, un anno dopo Parigi.
      Spiazzati dagli impegni elettorali di Trump (molto petrolio e carbone) e non solo.
      Parliamone.
      Gianni

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  9. Parliamone? Parliamone.
    Intanto, gli uomini scelti da Trump per i ruoli politici e militari strategici danno i brividi.
    Non dormiamo!
    Raffa

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