giovedì 13 ottobre 2016

Case, popolo e periferie

Bologna, la Casa del Popolo di via Giambologna 4 (primavera 2016)

















Tante case, fin troppe, rispetto ad un popolo che risulta in stagnazione.
Eppure crescono i senza casa e le periferie, nelle nostre città e nel mondo.
C'è un nesso tra tutto questo.
C'è anche un doppio senso. Voluto.
Vediamo.
1. Le case e gli edifici che, decennio dopo decennio, si sono costruiti sono tantissimi e diversificati. Come dimensioni, valori ed appetibilità.
Nel mondo, in Europa, in Italia e a Bologna.
Ma ancora gli amministratori, le imprese, i gruppi finanziari e speculativi ne progettano. Ed insistono. Di recente, in un incontro di Legambiente politici e tecnici della Regione Emilia Romagna hanno proposto dati impressionanti sulle aree e le edificazioni "pianificate" nei nostri Comuni.
Possibile? Responsabile? O fonte di crisi ulteriori?
2. La popolazione è in sostanziale stagnazione (anche a Bologna, solo l'arrivo di altri migranti inverte un perdurante calo demografico), cambia la composizione dei nuclei, aumentano le persone sole e le famiglie numerose. Spesso in condizioni economiche di indigenza e di povertà, assoluta e relativa. Comunque, non in grado di comprare e, spesso, di accedere a mutui.
E' sempre più difficile fare incontrare domanda ed offerta abitativa.
Così la questione casa resta drammaticamente all'ordine del giorno. Come ci dicono le cronache dalle città: da Roma a Milano, a Bologna.
Possibile? Responsabile? O fonte di crisi ulteriori?
3. In questo contesto crescono le periferie.
Grandi aree ai margini del Centro, dei commerci, del lusso, della vita economica ed istituzionale.
Territori spesso abbandonati e degradati, dove aumentano i contrasti e i conflitti tra vecchi residenti e nuovi arrivi. Persone di frequente disoccupate o occupate saltuariamente, dipendenti "a ore", "a giornata", "a settimane" da moderni "caporali" o da piccole aziende, quasi sempre artigiane e cooperative, che poco o nulla hanno a che fare con la storia e la tradizione di valorizzazione del lavoro e di promozione del protagonismo delle persone.
Ambienti sociali che precipitano, anno dopo anno, da soglie accettabili di solidarietà e di convivenza civile nella insicurezza e nelle paure. Anche a fronte di uno Stato sociale e di Enti locali in "caduta libera" di poteri e di risorse (come denunciano oramai molti Sindaci, Virginio Merola in testa).
Così si riducono progressivamente assistenza, accoglienza, inclusione, servizi. Diritti fondamentali di cittadinanza.
Possibile? Responsabile? O fonte di crisi ulteriori?

Occorre reagire, pensare positivo, progettare ed intervenire.
Abbandonando la cultura "dei muri" (diffusi in tutta Europa) contro nemici inesistenti, le pratiche della contrapposizione tra poveri e tra "periferie" vicine o lontane.
Ed anche quella "delle emergenze" permanenti e "degli sgomberi" di edifici occupati da cittadini senza casa, senza redditi, senza prospettive. Tutti prodotti di scelte miopi e sbagliate, passate e presenti, delle classi dirigenti attuali, irresponsabili ed inadeguate a fronteggiare i problemi del mondo. Incapaci di unire attorno a visioni e progetti di sostenibilità sociale ed ambientale le forze e le capacità produttive, le competenze e le energie presenti e potenziali.
La sfida è di investire risorse pubbliche e private nella rigenerazione urbana, nel recupero e nel riuso del costruito, nella restituzione a verde di aree dismesse; praticando davvero (non solo a parole) il consumo zero di suolo vergine e di terreni agricoli.
E' possibile! E' responsabile! E' fonte di risparmio collettivo e di nuova ricchezza. Materiale e umana.
Ci sono progetti in campo.
Interessante, ad esempio, quello concordato tra Comune di San Lazzaro ed Alce Nero per la nuova sede dei prodotti biologici.
Molti altri vanno elaborati, discussi, predisposti.
Oggi, ad esempio, il Corriere di Bologna scrive di un finanziamento europeo di 5 milioni di euro per il recupero di Villa Salus, ex clinica abbandonata da dieci anni, di proprietà del Comune. Destinazione "ad alloggi, mensa, B&B, ristorante etnico"; un "luogo di accoglienza, formazione, lavoro per migranti, rifugiati, sfrattati, fasce deboli ma anche bolognesi interessati all'impresa sociale multiculturale".
Eppur si muove?!

In Emilia ed a Bologna ci sono tante Case del Popolo.
Costruite da lavoratori e disoccupati negli anni '50 e '60 del secolo scorso per socializzare, per organizzare ed acculturare le classi subalterne a funzioni di governo del territorio. Per fare in modo che le Periferie divenissero Centro di vita politica e di partecipazione istituzionale.
E' possibile e sarebbe responsabile, oggi, rilanciare idee e Progetti che recuperino questi valori e che si ispirino a queste pratiche. Nelle contraddizioni del presente, dei bisogni e dei conflitti del nostro tempo.
Nel Comune capoluogo ci sono almeno 6 grandi strutture. Una trentina se si considera l'intera Città Metropolitana.
Questo fine settimana è in programma la Notte Rossa, organizzata da Fondazione 2000, che si è legittimamente ma (molto) discutibilmente costituita come erede e proprietaria di questo ancora importante patrimonio storico (un tempo, di fatto, controllato dal Partito Comunista Italiano).
Le impalcature per la ristrutturazione della Casa del Popolo (autunno 2016)

















Lo Spartaco, di via Giambologna, è una di queste.
Esempio (dagli anni '60 e '80) di vita democratica e di dialettica e confronto: con le affollate sedi di PCI, PSI e PdUP, di sindacati ed associazioni culturali (al piano terra, al secondo ed al terzo piano), di bar (a piano terra), palestra (nell'interrato), sala da ballo, sempre aperta per congressi ed assemblee (al primo piano). Ha attraversato la decadenza (attorno al 2000 con la crisi della partecipazione politica, la chiusura del circolo ARCI e della palestra UISP) ed ha conosciuto l'agonia (da oltre un decennio, con la chiusura definitiva di bar e sala da ballo e l'oblio della sinistra).
Ora si ristruttura.
I bene informati parlano di una sala per incontri e conferenze (al piano interrato), le sedi di PD, SPI e un ristorante (a piano terra), appartamenti (dal primo piano in su).
A chi ha avanzato obiezioni è stato risposto che "solo così si poteva intervenire".
La realtà è che, forse, la mancanza di risorse si accompagna al pensiero debole e ad una cultura politica sempre più asfittica e di brevissimo periodo.
Che non solo vede Fondazione 2000 scegliere scientemente di rinunciare (a 50 giorni dal referendum del 4 dicembre) ad ogni tipo di confronto tra le ragioni del Si e le ragioni del No alla revisione della Costituzione, ma anche a coinvolgere compagni ed amici, lavoratori e cittadini del quartiere ad un confronto aperto e costruttivo su eventuali possibili alternative alla progressiva privatizzazione e svendita di futuro.
E' ancora possibile porre rimedio a questa triste ed inesorabile deriva, facendo appello a tutte le energie, le generazioni e le idee vive?
Un particolare della Casa del Popolo, con le insegne di partiti che furono

12 commenti:

  1. Che bello sarebbe rifare vivere le Case del Popolo ... con le persone e le associazioni del nostro secolo.
    Perché c'è ne sono, basterebbe volerle vedere, ascoltare e sostenere: Emergency, Libera, Slow Food, Legambiente, Altroconsumo ...
    E ci sono gruppi giovanili, centri sociali senza sede ...
    Anna

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    1. Giusto. Basterebbe essere interessati a interloquire e costruire "un altro mondo possibile" con la società che si organizza e si impegna quotidianamente.
      Ma, forse, non c'è interesse. In Fondazione 2000 come nei gruppi dirigenti locali e nazionale del PD.
      Gianni
      Gianni

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  2. Domanda. Se è noto che ristrutturare case è più caro che farne di nuove, come si potrà soddisfare i bisogni di chi è senza e privo di redditi?
    Voglio dire che pensare di risolvere l'emergenza abitativa senza consumo di suolo è pura illusione.
    Quanto alle case del popolo sono il prodotto del secolo scorso. Il futuro chiede altro ... Che non a caso trova sbocchi autonomi.
    Dario

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    1. Dario, ho alcuni dubbi.
      1. Siamo sicuri che costruire nuovi edifici costi (complessivamente) meno che ristrutturare? Agli individui ed alla collettività, intendo. Nel "bilancio" consideriamo tutto? Costi economici e costi ambientali, ad esempio. Oppure i costi (quasi sempre non computati) a carico di persone e/o collettività per l'abbandono ed il degrado.
      2. La questione dell'abitare ha una valenza sociale o è essenzialmente un problema individuale? Propenderei per considerare la casa un diritto del cittadino, al pari del lavoro. Dunque, una collettività solidale e forte, istituzioni autorevoli e rispettabili operano per garantire a tutti un lavoro ed un alloggio. Per farlo investono e scelgono politiche, progetti, priorità.
      Lasciare persone senza lavoro e reddito è un grave errore per una comunità (soprattutto se alcuni suoi membri lavorano molto e guadagnano troppo). Prima o poi si avranno conseguenze, non solo ma anche economiche. Ugualmente lasciare cittadini senza casa. Determina ricadute e maggiori costi. Causa ingiustizie e insicurezza. Chi paga?
      Insomma, Stato, Regioni e Comuni debbono proporsi come grande priorità progetti qualificati per la tutela dell'ambiente naturale, per la difesa e la manutenzione del territorio, per la rigenerazione urbana, per il diritto alla salute e all'abitare.
      Le Case del Popolo sono state a lungo un patrimonio sociale, di partecipazione democratica e di solidarietà verso le classi subalterne. Oggi che le disuguaglianze e le ingiustizie si sono moltiplicate potrebbero riacquistare ruolo e peculiarità.
      Basterebbe volerlo. Per contribuire a migliorare il Paese. Da protagonisti. Insieme a tanti altri. Ognuno con la propria autonomia.
      Gianni

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  3. Ambienti e spazi sociali nascono oggi fuori e lontani dai mondi alternativi del secolo scorso.
    A Bologna l'esperienza più interessante è Labas.
    Vedo difficile la convivenza tra queste storie culturali e politiche ...
    BiBi

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    1. Il punto è se si vuole mantenere questi mondi distanti ed alternativi, oppure si ritiene che ci siano comuni interessi culturali, sociali e politici. Nel qual caso, forse, occorre agire con scelte coraggiose e coerenti di apertura e di dialogo.
      Gianni

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  4. Ma ci si può lagnare se Fondazione "2000" non pensa al 4 dicembre ed al futuro?
    Avessero voluto stare al passo con i tempi si sarebbero chiamati almeno "2050"?
    Sic

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    1. Potrebbe essere un suggerimento ... se qualche vecchio comunista passa di qui, Sic.
      Gianni

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  5. ... Persone di frequente disoccupate o occupate saltuariamente, dipendenti "a ore", "a giornata", "a settimane" da moderni "caporali" o da piccole aziende, quasi sempre artigiane e cooperative ...
    Chi descrive così il mondo del lavoro ha piena cognizione della vita e delle impossibilità di contrarre mutui per una casa.
    Ma di case "popolari" con fitti contenuti non se ne costruiscono da tempo.
    Sarebbe ora di farlo, se si vuole uscire dalla "emergenza" ...
    Nik

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    1. Per dirla con le parole di don Giovanni Nicolini, prete di strada: "Dov'è Peppone"?
      Purtroppo Sindaci, Governatori, uomini e donne di Governo (anche e soprattutto di Centrosinistra) preferiscono occuparsi d'altro: dalle Grandi Opere insostenibili (a vantaggio di pochi) alle missioni militari (in Libia, Iraq o Afganistan).
      Gianni

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  6. L'Emilia e Bologna sono in fondo alla classifica delle Regioni e delle città che ospitano rifugiati (fonte Migrantes). Sarà un caso?
    Dove è finita la cultura della solidarietà?
    Né le istituzioni, né la politica, né i sindacati, né lo storico associazionismo emiliano scrivono oggi pagine nuove e memorabili ...
    Un altro mondo è possibile?
    Qui pare di no. Si difendono i vantaggi acquisiti?
    Ciao!

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    1. La pretesa di difendere "vantaggi" non occupandosi degli altri, alla lunga non regge.
      Si difendono le conquiste realizzate solo confermandosi lungimiranti e solidali.
      Gianni

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